Di Gianna Ganis
Lo SHED, una struttura telescopica di 8 piani che può essere srotolato su ruote nel piazzale esterno, che ha aperto il 5 aprile a New York, è in parte museo, ma anche centro per arti e spettacolo, ovvero uno spazio no profit che garantirà la parità di tutte le espressioni artistiche. La realizzazione valutata intorno ai 550 milioni di dollari, faceva parte di un accordo con gli imprenditori edili del 2005 quando il sindaco Bloomberg ebbe l’intenzione di creare uno spazio pubblico accanto ai lussuosi condomini e negozi dell’operazione immobiliare Hudson Yard. Il progetto SHED commissiona, sviluppa, espone e realizza eventi che spaziano dalle arti visive alla cultura popolare e già da questo primo anno ha in calendario una ventina di manifestazioni fra le quali la presentazione di 52 artisti emergenti provenienti da 5 quartieri di N.Y. e una produzione teatrale di street dance insegnata in 20 scuole pubbliche della città.
La sede del nuovo Qatar National Museum rappresenta invece l’ultima, sofisticata escalation nella corsa agli armamenti culturali di uno dei paesi più piccoli ma più potenti del Golfo. Porta la firma dell’architetto francese Jean Nouvel, autore anche del celebrato Louvre di Abu Dubai che, per il vicino rivale, ha voluto replicare il colpo d’effetto dell’architettura spettacolare, immaginando il suo museo come una gigantesca “rosa del deserto” circondata da sabbia e giardini. Con un budget di più di 400 milioni di dollari, Jean Nouvel non ha avuto molti problemi nel realizzare la sua visione: arduo però è stato tradurre questo delirio di 539 (pare) dischi volanti in fiberglass in un edificio di 52mila metri costruito per diventare museo. Se all’esterno l’effetto è sorprendente all’interno il registro cambia di tono e non sempre in maniera felice. Quando si entra nel chilometro abbondante di gallerie – un loop di spazi determinati dalle intersezioni di geometrie acute – è la percezione fisica a prevalere sull’allestimento delle collezioni. L’apparato espositivo è infatti il punto meno risolto del museo e la discontinuità degli allestimenti contrasta con la vastità di spazi che le stesse collezioni faticano a riempire.
La domanda quindi sarà: in che misura l’istituzione museale – che discende dalla tradizione dell’illuminismo occidentale – può conciliarsi con un potere sostanzialmente autocratico e conservatore? Sono le stesse questioni sollevate dalla svolta cinese delle Olimpiadi o dalla corsa delle nuove capitali della dispersa Unione Sovietica. A questi interrogativi diffusi seguono le identiche risposte degli architetti: noi costruiamo per i popoli non per i potenti o le dinastie.
Per concludere la domanda è: i musei rischiano dunque di essere più un contenitore che un contenuto? il medium, avrebbe detto McLuhan, è divenuto il messaggio. E il messaggio è che un museo oggi fa arte dell’economia delle esperienze.
Ci troviamo di fronte a specie “mutanti” di musei che hanno poco a che fare con il passato: affascinanti narrazioni dove l’interrogativo dell’opera è sostituito dalla seduzione del racconto.