Di Gino Colla
Il Padiglione Lituania, sito al circolo Ufficiali marina Militare, ha ricevuto un premio come miglior padiglione di questa edizione della Biennale di Venezia. Rappresenta una spiaggia con sabbia vera e personaggi distesi su teli, visibili dal piano superiore, mentre cantano delle poesie sulla luce.
Oltre a questo sito, molti altri sono performance in atto. Ad esempio, il Padiglione israeliano introduce i visitatori alla loro visita medica tramite dei medici presenti sul posto.
Oltre alla sorpresa, la performance lituana, creata da tre artiste, scrittrici, compositrici, registe, vuole ricordare la bellezza della vacanza, della libertà legata ai momenti passati in vacanza d’estate. La performance è il modo migliore di trasferire l’idea del tempo che passa e non lascia nulla se non un vago ricordo.
In questa direzione, con On Art, abbiamo visitato la mostra Dire il tempo, a Palazzo Querini Stampalia, in compagnia dell’artista Sartori e con opere anche di Opalka.
Spesso si sente dire dalla gente che l’arte contemporanea non è bella, è un insieme di materiali incomprensibili e senza alcuna pretesa estetica, che l’arte di Tiziano e di Tintoretto, quella sì, era fatta di sapienza e di luce.
In realtà, il concetto di bellezza è complesso e cambia nel tempo (si legga il testo recente di Bhyung Chan sul tema). Due grandi correnti si confrontavano sulla bellezza. Una che definisce la bellezza come armonia delle parti tra loro (Pitagora), e l’altra (Platone), che la collega con l’esperienza del divino. In questo ambito la bellezza ci colpisce perché manifesta qualcosa di metafisico, o, forse di sepolto nel nostro inconscio (“la Bellezza è dentro di noi che guardiamo”).
Nel mondo moderno, ma è difficile generalizzare, la bellezza è legata alla Verità. Heidegger parlava della voce con cui parla l’Essere, ovvero ciò che sta oltre e comprende quello che noi vediamo e pensiamo. Il grande filosofo parlava della Poesia, ma comprendeva in questa visione anche la musica, l’arte, il teatro.
La verità, o Aletheia, in greco, è togliere il velo (a-lethos) al nascondimento dell’Essere.
Il punto non è quindi più l’armonia delle parti rappresentate o la luce che cade sui paesaggi o sui volti, ma svelare la poesia di un attimo, di un momento felice, di una gioia o un dolore passeggero.
E così fa il Padiglione lituano, così come molta arte dei nostri tempi. Non lo stile, ma l’idea che sottende all’opera o alla performance.
Per questo Opalka diceva “La mia opera non è bella… è vera” (frase riferita dall’amica Michela Rizzo).
A breve On Art, con queste e altre suggestioni organizzerà delle gite per la Biennale. Non mancate (notizie prossimamente sul sito www.onartsrl.it).