Di Gino Colla
Nato nel 1938, Baselitz non era mai stato protagonista di una mostra come quella di Venezia, all’ Accademia.
Inoltre, avendo conosciuto Vedova, ha curato anche un nuovo allestimento allo Spazio Vedova.
La mostra dell’Accademia si apre con alcune opere intitolate Eroi del 1966. In realtà, come un ossimoro, gli eroi, sono le persone dilaniate moralmente e materialmente dalla seconda guerra mondiale. Infatti Baselitz nasce in Germania Est e si trasferisce in Germania Ovest prima della costruzione del muro (avvenuto nel 1961). Qui sta un altro sovvertimento dell’artista. Assume il cognome Baselitz, che non è il suo vero cognome, ma il nome della sua città di nascita.
Successivamente la mostra prosegue con ritratti ideali, con forte impronta espressionista, di gruppi, e infine di nudi.
Quello che stupisce, è che tutte le opere sono capovolte. L’artista in primis dipingeva mettendo le tele distese al suolo. Era infatti rimasto colpito dalle mostre in Germania di Pollock e Guston.
Per decidere di considerare le immagini capovolte, secondo alcuni, era l’idea di trovare una terza via dell’arte, che non fosse figurativa, come gli espressionisti tedeschi (Lupertz, Dix, ecc.), ma neppure astratta (come gli espressionisti americani).
L’artista non si è mai espresso compiutamente su questa sua scelta, alimentando il mistero. Secondo alcuni, vi è anche un rimando a Freud, dove, nell’Interpretazione dei sogni del 1900, egli scrive, che non si riesce a vedere la verità, se non viene capovolta. Il rimando è appunto al sogno, che mistifica i rapporti con la realtà, creando rebus, capovolgimenti, mascheramenti di persone e cose. L’inconscio non è rappresentabile, né esprimibile, e si manifesta in forma celata. L’identità ha bisogno di bonificare l’inconscio. Di qui l’importanza della psicoanalisi.
Infine la mostra ci presenta delle sculture di Baselitz, drammatiche ma di grande impatto cromatico.
L’artista merita di essere visto e meditato, per la sua creatività, che lo porta a cambiare nome e immagine per cercare non solo qualcosa di nuovo, ma anche di attraente per lo spettatore.
L’arte, specie contemporanea, deve riuscire a accendere una scintilla, altrimenti non raggiunge uno degli obiettivi, quello di cambiare prospettiva nel vedere le cose. La Biennale di quest’anno si inserisce in questa scelta curatoriale. Per questo possiamo affermare che: viviamo in tempi interessanti! Interessanti per la diversità di punti di vista, che arricchiscono e non disperdono. La semplificazione e l’uniformità non aiuta il progresso.