Di Gianna Ganis
“Quando Thomas Hoving, ex direttore del Metropolitan Museum di New York, dichiarò nel 1997 che il 40% delle opere nel suo museo erano false, pensammo a un’esagerazione tipicamente americana. Di fatto, ci si domanda invece se la cifra non sia inferiore alla verità.”
Come ogni estate ci piace segnalare una lettura che abbia a che fare con il mondo dell’arte.
Quest’anno vi suggeriamo il libro di Harry Bellet per Skira editore dal titolo “Falsari Illustri” da cui emergono due verità: il perfetto falsario, come il delitto perfetto, genio ed eroe non esiste, esistono tuttavia le sue opere quando ben realizzate, che si trovano ovunque ancora appese alle pareti.
Nel libro l’autore ripercorre le vite e le truffe dei più grandi falsari tanto geniali da rendere le loro rocambolesche vicissitudini, sconcertanti ma dal grande fascino, tanto da suscitare nel lettore una certa simpatia per queste figure non per le vittime. Prestigiosi musei, gallerie, facoltosi collezionisti ma soprattutto esperti e storici dell’arte messi in ridicolo e, come dichiarato dall’autore stesso, accaduto anche lui, ingannato da una falsa scultura di Gauguin.
Mestiere del falsario sicuramente assai antico: esempi noti già in Grecia a danno dei collezionisti romani o nel Medioevo con la produzione di false reliquie.
Bellet però ci presenta soprattutto esempi riferiti al XX secolo.
Famoso il caso di Van Meegeren così abile da ingannare Herman Goring il gerarca nazista vendendogli un falso Vermeer. Il suo segreto? Cuocere le tele a 105 gradi per 2 ore.
Oltre 200 dipinti falsi furono venduti dalla coppia Myatt e Drewe: il primo produceva le opere, il secondo manometteva i fondi archivistici inquinando le fonti con documenti falsi anche quelli, per ottenere così certificati di autenticità. Forse il più ammirato fu tale Wolfang Beltracchi talmente apprezzato da divenire quasi un eroe del falso: oggi c’è una lista d’attesa per avere una sua opera autenticamente falsa.
Ma Bellet non si limita a descrivere diverse vicende legate a falsari ma si chiede anche quale possa essere la motivazione che li spinge a beffare il sistema, il mercato e i tronfi critici d’arte. La risposta possibile è che non è solo il denaro ma l’ambizione e il senso di rivalsa nei confronti di un mondo che li avrebbe considerati artisti mancati. Infine l’autore analizza anche gli effetti di queste truffe: pagine di storia dell’arte fondate su false informazioni, carriere rovinate da imbarazzanti expertise, gallerie indebitate destinate a chiudere, cause milionarie.
Il volume si conclude con un curioso manuale quasi una provocazione, dedicato all’apprendista falsario: un elenco dei principi fondamentali da seguire tra cui il pittore da copiare e l’importanza di non attribuirgli l’opera così da lasciare l’onere e l’onore ai critici e aspettare che ci caschino.
Nato nel 1960, Harry Bellet ha studiato storia dell’arte prima di lavorare al Centre Pompidou a Parigi e alla Fondation Maeght di Saint-Paul-de-Vence. Dal 1998 si è occupato di argomenti culturali per “Le Monde”.