MUSEO VAN GOGH DI AMSTERDAM

Di Gino Colla

Ero poco propenso a visitare questo museo. Di Van Gogh si parla anche troppo, libri, film, documentari, cifre astronomiche alle aste, ecc. Ma la visita è stata inaspettatamente commovente.

Innanzitutto le audioguide: oltre alle varie lingue, bastava appoggiare il dispositivo al link del singolo quadro e, brevemente, ma in maniera chiara si entrava nel mondo dell’artista. Tra l’altro, una parte della spiegazione era anche adatta a ragazzini, come accostare i colori, delle vedute della casa dell’artista dove era situata la famosa stanza gialla con il letto e con la prospettiva stravolta. Quindi anche i più giovani trovano interesse e visitano il museo. Tra l’altro, nel piano inferiore, c’erano delle installazioni multimediali sul quadro “I Girasoli”. Già qui un segnale per i musei italiani. Bisogna dotarsi di più idee sul campo dei vari media per attirare i giovani e interessarli all’arte.

Poi la meraviglia delle opere. Dai “Mangiatori di patate” ai paesaggi del Sud della Francia, dove la luce ci avvolge e ci penetra nel profondo. Particolarmente attraente “I fiori di mandorlo”, dove l’artista scrive di aver visto la bellezza del mondo dipingendo stando disteso sotto l’albero e respirando il profumo dell’erba e della campagna.

Poi l’influenza della pittura giapponese, anche per le prospettive e i tronchi di alberi in primo piano. L’artista collezionava quadri di giapponesi, e alcuni di questi sono esposti accanto ai quadri di Van Gogh per mostrare la vicinanza di prospettive e il senso shintoista della Natura, come proiezione della nostra anima.

Infine la parte conclusiva. Pensavo che l’ultima opera fosse “Il campo di grano”, con il volo dei corvi che sembrano avere le ali come un piccolo logo “V”, di Victor, il nome dell’artista, ma anche del fratello che era premorto a lui, e che era un fantasma che si aggirava nella casa paterna.

Invece scopro che l’ultimo quadro, trovato sul cavalletto della stanza dove l’artista muore, ancora incompiuto, è un’opera quasi astratta, dove sono intrecciate delle radici, con alcune tracce di colore.

Penso che le radici siano la base degli alberi, delle piante, della vita della natura. Per l’essere umano, le radici sono i ricordi, che appaiono anche nei sogni, e che danno un senso al tempo che si trascorre. Con la vecchiaia i ricordi tornano più di frequente che da giovani, e aiutano a vedere il presente in modo più o meno radioso. I ricordi, sosteneva Freud, sono una parte fondamentale nel lavoro psichico sul distacco da ciò che si perde (la morte, l’amore, la giovinezza, i figli, ecc.). La psiche come l’arte, gira intorno al vuoto delle perdite che tutti subiscono. Solo tramite i ricordi (belli) si può elaborare la distanza dall’oggetto perduto, senza rimanerne avvinghiati.

Le radici di Van Gogh, allora, forse, potrebbero essere un messaggio a tutti coloro che guardano, e a noi stessi, che la vita non è fatta solo dei fiori di mandorlo, delle sue scarpe sporche di terra, dei campi di grano intorno ad Arles, ma dalle radici, dai depositi dei nostri ricordi che nascono senza volontà e rimangono nella nostra interiorità. E nessun altro potrà mai conoscere. Nell’Ospite Inatteso di Schmitt, alla fine, si scrive:

 

“La vita, oltre che sorprendente, può essere anche misteriosa”.

 

 

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