VANESSA BEECROFT E IL TEMA DELLA PROSSIMITÀ.

Di Gino Colla

Recentemente si è tenuto un incontro On Art sulle opere di Vanessa Beecroft.

L’artista è nata a Genova nel 1969, e, tramite l’originalità delle sue performance, usate anche nel mondo della moda, è ora l’artista di origine italiana più conosciuta all’estero. In Italia lo è meno, e già qui troviamo un tema della prossimità. Spesso artisti contemporanei sono più apprezzati all’estero che in Italia, dove sono nati. L’arte, si sa, anticipa i tempi e l’Italia non ha un rapporto positivo sull’arte contemporanea. vale quindi il detto, che risale al Vangelo, che “Nessuno è profeta in patria”.

Seconda riflessione nasce dal fatto che le sue opere (due esempi in fotografia), prevedono corpi femminili nudi disposti in maniera rigida e sguardi rivolti verso gli spettatori. Una voce esterna (nella performance) dà regole alle performers a cui devono attenersi. Pensavo che questo riflettesse la condizione femminile, e il difficile rapporto avuto in passato con la madre. Invece, secondo interviste fatte alla stessa artista, questo riguarda la forma della performance e la volontà di passare dal minimalismo di Donald Judd, all’informale di Pollock. Infatti, visto che la rappresentazione è piuttosto lunga, alcune o tutte le artiste sono abilitate a distendersi, dopo essere state in piedi per un po’ di tempo. Così si passa dalle geometrie della verticalità, alla orizzontalità del quadro vivente (come nell’action painting di Pollock). Oltre alla novità dell’utilizzo della figura femminile per rappresentare il nudo (diversamente dal nudo sulla tela o in fotografia), un altro aspetto ci interessa. In un video disponibile su YouTube, l’artista dialoga con lo psicoanalista junghiano Luigi Zoja. Quest’ultimo ritrova nelle opere di Vanessa un aspetto da lui indagato.

Le figure guardano avanti e non si muovono mai di fianco. Ciò esemplifica un aspetto della vita di tutti i giorni. Siamo circondati di persone che abbiamo anche vicino (in ufficio, in condominio, a scuola, ecc.), ma non sappiamo nulla di loro, e tanto meno ci interessa sapere nulla. L’era tecnologica ci porta a messaggiare e chiamare soggetti lontani centinaia di Km., e sentirci in sintonia con loro, ma i nostri vicini ci sono sconosciuti.

L’egoismo giunge ad aspetti inquietanti di persone indifferenti in spiaggia, quando muore un bagnante, o atteggiamenti collettivi di indifferenza su rifugiati o di persone in difficoltà, anche solo psicologica.

L’atteggiamento di chiusura verso l’altro si trova anche nel libro di Recalcati, Le nuove melanconie. Il desiderio che ci attraversa e che si alimenta nel rapporto con gli altri, per vivere una vita piena e non una depressione negativa, si esaurisce come un fiume in secca. L’altro diventa un orpello inutile e la mancanza dell’oggetto perduto (persona o ricordo) diventa una perdita inconsolabile. Dai ponti si passa a costruire muri che ci dividano da chi ci aiuterebbe ad alimentare il soffio di vita.

Tutto questo, in sintesi, si percepisce nelle performance di Vanessa, che oltretutto ha un passato di anoressica. Disturbo che nasce spesso da una chiusura ricattatoria nel confronto con la Madre, che non spiega alla figlia il mistero della femminilità (della Donna e della castrazione, come direbbe Lacan).

 

Con gli auguri di Buone Feste, cerchiamo tutti di aprirci al prossimo con cuore aperto, e lasciamo spento il cellulare per parlare di persona con il nostro vicino. E sosteniamo ancora On Art nei suoi programmi.

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