Di Chiara Filipponi
Tra arte e mitologia
Da quest’anno inauguriamo una nuova rubrica dedicata alla mitologia e all’arte. Ogni mese un approfondimento su un personaggio della mitologia greca e sulla sua rappresentazione nella storia dell’arte. Questa puntata è dedicata alla dea dell’amore, Afrodite, conosciuta nel mondo romano come Venere.
Buona lettura!
Afrodite è, nella religione greca, la dea della bellezza, dell’amore, della generazione e della primavera. Nata nel mare, veniva anche venerata come dea che rende sicura la navigazione. Nel cielo le apparteneva la stella vespertina e mattutina, il pianeta Venere, tra gli animali la colomba e tra le piante il mirto.
La nascita di Afrodite
Il racconto della nascita di Afrodite ci è stato tramandato da Esiodo. La storia narra che Crono, dopo aver ucciso il padre Urano, gettò i suoi genitali in mare e il seme della divinità creò una bianca schiuma che unitasi con l’acqua diede origine ad Afrodite. Questa nuotò fino a Cipro, lì uscì dal mare e sotto i suoi piedi spuntarono delle tenere erbette. Gli dei e gli uomini la chiamarono Afrodite, perché nata dalla schiuma (aphros).
Una volta vestita, incoronata e adornata Afrodite poté essere condotta dagli dei che appena la videro la baciarono e abbracciarono e la desiderarono tutti in moglie. Secondo il racconto di Omero, uno dei più noti a riguardo, la dea dell’amore andò in sposa ad Efesto, dio dell’ingegno e dei lavori manuali, di brutto aspetto e carattere ma tra i più intelligenti fra gli dei e gli uomini. Tuttavia, il matrimonio tra Efesto e Afrodite non durò a lungo e Omero narra di come la dea tradì il marito con Ares, il dio della guerra, proprio nel palazzo del fabbro divino, il quale, appresa la notizia del tradimento dal Sole che aveva visto tutto, fabbricò delle catene invisibili ma impossibili da spezzare. Con tali catene legò i due amanti al letto e chiamò tutti gli dei dell’Olimpo a vedere di persona ciò che era accaduto. Questi risero dell’amaro spettacolo, tranne Poseidone, il quale intimò ad Efesto di sciogliere le catene promettendo che avrebbe pagato l’ammenda al marito tradito per conto di Ares. Fu così che i due amanti furono liberati segnando così la fine del matrimonio tra Efesto ed Afrodite.
La dea dell’amore si legò da quel momento in poi a numerosissimi amanti, generando figli che divennero eroi, divinità e fondatori di città.
I miti legati ad Afrodite
Amore e Psiche (favola dalle Metamorfosi di Apuleio)
Psiche era una fanciulla dalla sfolgorante bellezza divenuta l’attrazione di tutti i popoli vicini che le offrivano sacrifici e la chiamavano Venere. La divinità, saputa dell’esistenza di Psiche, gelosa per il nome usurpatole, inviò suo figlio Eros affinché la faccia innamorare dell’uomo più brutto e avaro della terra. Eros però sbagliò mira e la freccia d’amore lo colpì facendolo innamorare perdutamente della fanciulla.
Intanto, i genitori di Psiche, preoccupati che la figlia non possa trovare marito a causa della sua eccessiva bellezza, consultarono l’oracolo di Apollo che rispose:
«Come a nozze di morte vesti la tua fanciulla ed esponila, o re, su un’alta cima brulla. Non aspettarti un genero da umana stirpe nato, ma un feroce, terribile, malvagio drago alato che volando per l’aria ogni cosa funesta e col ferro e col fuoco ogni essere molesta. Giove stesso lo teme, treman gli dei di lui, orrore ne hanno i fiumi d’Averno e i regni bui. (IV, 33)»
Psiche venne così portata a malincuore sulla cima di una rupe e lasciata sola. Con l’aiuto di Zefiro, Cupido la trasportò al suo palazzo dove, imponendo che gli incontri avvenissero al buio per non incorrere nelle ire della madre Venere, la fece sua.
Dopo molti notti di passione, Eros mise Psiche in guardia – se lei avesse tradito la fiducia che la lega al suo innamorato, una terribile vita l’avrebbe attesa. Psiche affermò di sentirsi molto sola, poiché la sua famiglia la credeva morta per cui lei chiese di poter vedere le sue sorelle per informarle che è viva e felice. Cupido accettò per amore della sua amata consentendo a Psiche di fare molti doni alle sue sorelle. Queste, stupite della fortuna capitata a Psiche, iniziarono ad essere invidiose e intuirono che probabilmente la ragazza non aveva mai visto in faccia il suo consorte. Prese dalla gelosia e dalla voglia di possedere tutti i tesori della sorella, si inventarono che suo marito è un mostro orribile che l’avrebbe uccisa dopo che ella avrà concepito un figlio. Psiche, atterrita da tali notizie, chiese aiuto alle sorelle che le consigliarono di uccidere il mostro con un pugnale e di farsi luce con una lampada ad olio per portare a termine l’operazione. Una volta uccisa la bestia, Psiche avrebbe chiamato le sorelle per farsi aiutare a svuotare il palazzo dai tesori.
Psiche dunque con un pugnale ed una lampada ad olio decise di vedere il volto del suo amante, nella paura che questi tema la luce per la sua natura malvagia e bestiale. Ed ecco che una goccia d’olio cadde dalla lampada e ustiona il suo amante:
«… colpito, il dio si risveglia; vista tradita la parola a lei affidata, d’improvviso silenzioso si allontana in volo dai baci e dalle braccia della disperata sposa (V, 23)»
Fallito il tentativo di aggrapparsi alla sua gamba, Psiche straziata dal dolore tentò più volte il suicidio, ma gli dei glielo impedirono. Psiche iniziò così a vagare per diverse città alla ricerca del suo sposo, finché finì nella città di una delle sue sorelle dove raccontò una bugia che presto fece il giro del mondo: affermò che Eros per vendetta contro Psiche avrebbe preso in sposa una delle sue sorelle. Al che entrambe le donne corsero alla rupe gridando a Zefiro di trasportarle da Cupido e si lanciarono da una grande altezza sicure che il vento le avrebbe trasportate. In realtà questo non accadde e morirono orrendamente lanciandosi nel vuoto.
Una volta vendicatasi delle avare sorelle, Psiche arrivò però al tempio di Venere e a questa si consegnò, sperando di placarne l’ira per aver disonorato il nome del figlio.
Venere, dopo aver insultato e malmenato la giovane, sottopose Psiche a diverse prove: nella prima, doveva suddividere un mucchio di granaglie con diverse dimensioni in tanti mucchietti uguali; disperata, non provò nemmeno ad assolvere il compito che le era stato assegnato, ma ricevette un aiuto inaspettato da un gruppo di formiche. La seconda prova consisteva nel raccogliere la lana d’oro di un gruppo di pecore. Ingenua, Psiche fece per avvicinarsi alle pecore, ma una verde canna la avvertì che le pecore erano aggressive con il sole e che lei avrebbe dovuto aspettare la sera per raccogliere la lana rimasta tra i cespugli. La terza prova consisteva nel raccogliere acqua da una sorgente che si trovava nel mezzo di una cima tutta liscia e a strapiombo. Qui venne aiutata direttamente dall’aquila di Giove.
L’ultima e più difficile prova quella nel discendere negli Inferi e chiedere alla dea Proserpina un po’ della sua bellezza. Psiche meditò a questo punto addirittura il suicidio tentando di gettarsi dalla cima di una torre; improvvisamente però la torre si animò indicandole come assolvere la sua missione. Durante il ritorno Psiche, mossa dalla curiosità, aprì l’ampolla contenente il dono di Proserpina, che in realtà altro non è che il sonno più profondo.
Questa volta venne in suo aiuto Eros, che la risvegliò e andò domandare aiuto al padre degli dei, Giove.
Solo alla fine, Psiche ricevette l’aiuto di Giove: mosso da compassione il padre degli dei fece in modo che gli amanti si riuniscano: Psiche divenne la dea protettrice delle fanciulle e dell’anima, sposando Eros.
Più tardi nacque una figlia, concepita da Psiche durante una delle tante notti d’amore dei due amanti prima della fuga dal castello. Questa venne chiamata Voluttà, ovvero Piacere.
Adone
Adone era un fanciullo bellissimo, figlio nato dal rapporto incestuoso fra Cinira, re di Cipro, e sua figlia Mirra. Un giorno, Cancreide, moglie di Cinira, osò sostenere che sua figlia fosse più bella di Afrodite. Questa, adirata, fece infiammare Mirra d’amore per suo padre e la fanciulla s’abbandonò alle lacrime per non poter soddisfare il suo desiderio. Una notte essa s’accinse ad impiccarsi quando la nutrice Ippolita, attirata dai suoi lamenti, la scorse e si apprestò a fermarla e a dissuaderla dai suoi propositi di morte, invitandola a confidarsi con lei. Bastò che Mirra proferisse: «O mamma, felice per te che sei sua moglie!» per far ammutolire la vecchia donna che apprese la passione incestuosa di Mirra per il padre e, per amore della fanciulla, si dichiarò disposta a portarla a compimento.
La nutrice attese la celebrazione della festa di Demetra, in occasione della quale le mogli si astenevano dall’unirsi con i propri mariti, e parlò a Cinira, annebbiato dal vino, di una bellissima fanciulla, coetanea di Mirra, che desiderava giacere con lui. Calò la notte e la donna portò Mirra per mano nell’appartamento del padre, presentandola all’uomo nell’oscurità. La fanciulla si giacque con il padre per nove notti, senza che l’uomo scoprisse l’identità della figlia, ma una notte Cinira s’incuriosì e accostò una lampada al viso di Mirra; riconosciuta in lei la propria figlia, ammutolì per l’orrore e sguainò la spada per ucciderla. Mirra fuggì disperata in aperta campagna e, con il favore della notte, depistò il padre, supplicando poi gli dei di renderla invisibile risparmiandola sia alla vita sia alla morte. Oppure, Cinira inseguì furibondo la figlia fuori dal palazzo e la raggiunse sul ciglio di una collina, ma Afrodite, mossa a compassione, s’affrettò a tramutarla in un albero di mirra, che l’uomo troncò in due con un netto fendente.
Trascorsero nove mesi, e Mirra fu colta dalle doglie. Il suo tronco s’incurvò e una donna s’impietosì, s’avvicinò all’albero e posò le mani sulla corteccia per pronunciare la formula del parto. Subito s’aprì un piccolo varco, da cui affiorò il piccolo Adone.
Allevato dalle Naiadi, riuscì letteralmente a stregare con la sua sfolgorante bellezza la stessa Afrodite, che lo amò appassionatamente. Si narra che durante una battuta di caccia Adone fu ucciso da un cinghiale inviato dal geloso Apollo con l’aiuto di Artemide, o da Ares amante della dea Afrodite. Dal sangue del giovane morente crebbero gli anemoni e da quello della dea, ferita tra i rovi mentre era corsa a soccorrerlo, le rose rosse. Zeus commosso per il dolore di Afrodite concesse ad Adone di vivere quattro mesi nel regno di Ade, quattro sulla Terra assieme alla sua amante e quattro dove preferiva lui.
Afrodite e Anchise
Afrodite non aveva alcun potere su tre dee: Atena, Artemide ed Estia. Ella trionfava su tutte le altre divinità e costringeva perfino Zeus ad amare donne mortali e a dimenticare la sposa-sorella Era. Perciò Afrodite dovette, per volere di Zeus che si era stancato dei suoi atteggiamenti, ad innamorarsi di un mortale, il pastore Anchise.
Afrodite, rimasta sedotta dalla sua straordinaria bellezza, dopo averlo scorto a compiere il suo lavoro di pastore, decise di ottenere subito i suoi favori.
Una notte, mentre egli giaceva nella sua capanna da mandriano, la dea assunse l’aspetto di una comune mortale e sotto tale travestimento si accostò a lui, sostenendo di essere una principessa, figlia del re Otreo, la quale, rapita dal dio Ermes, di lei perdutamente invaghito, era stata poi trasportata dal dio sui pascoli dell’Ida.
Indossato poi un seducente peplo di colore rosso smagliante, la dea riuscì nel suo intento e, sdraiatasi accanto al giovane, giacque con lui in un giaciglio di pelli animali. Accompagnati dal sereno ronzare delle api, per tutta la notte i due amanti godettero delle passioni amorose e proprio da questo amplesso la dea dell’amore rimase incinta di un bambino. Quando, al sorgere dell’alba, Afrodite rivelò all’uomo la sua vera natura, Anchise, temendo di essere punito per aver scoperto le nudità di una dea, la pregò di risparmiargli la vita.
Tuttavia la dea lo rassicurò, predicendogli la nascita di un bambino che sarebbe stato capace di regnare sui Troiani, acquistando un potere straordinario che si sarebbe mantenuto anche con i suoi discendenti.
Allo stesso tempo Afrodite mise in guardia il suo amante, esortandolo a nascondere la verità sulla nascita del bambino, ben sapendo che se Zeus ne fosse venuto a conoscenza, lo avrebbe senza dubbio fulminato.
Alcuni giorni dopo, mentre Anchise si trovava presso una locanda in compagnia dei suoi amici, uno di essi gli chiese se avesse preferito passare una notte con la figlia di Priamo o con Afrodite. Il giovane troiano, dimentico della promessa e stordito dall’ebbrezza, si vantò affermando di essere stato con entrambe e giudicando un tale paragone impossibile.
Udita la temibile vanteria, Zeus dall’alto dell’Olimpo si affrettò a punire un così sfrontato mortale, scagliando una folgore destinata a incenerirlo. Ma Afrodite, postasi in difesa del suo amato, cercò di proteggerlo ma la folgore raggiunse comunque Anchise senza però incenerirlo.
Il giovane mortale provò comunque un incredibile spavento alla vista di quelle scintille, tanto che da allora, egli non riuscì più a raddrizzare la schiena, traumatizzato com’era alla vista dell’ira divina, e la stessa Afrodite si disinteressò a lui dopo aver generato Enea. Quest’ultimo, guerriero valorosissimo, partecipò alla guerra di Troia ma è più noto per essere il fondatore dell’etnia latina.
Il pomo d’oro
L’episodio è raccontato nei Canti Ciprii. La dea Eris, furiosa per l’esclusione dal banchetto nuziale, per vendicarsi, incise sulla mela d’oro (secondo alcuni presa nel giardino delle Esperidi) la frase “Alla più bella” e la lanciò non vista, sul tavolo imbandito, causando così una lite furibonda fra Era, regina degli dei, Afrodite, dea dell’amore, e Atena, dea della saggezza.
Le tre dee andarono da Zeus, ma lui si astenne dal pronunciare il giudizio su chi fosse la più bella. perché avrebbe scatenato le ire delle dee “perdenti” in eterno. Zeus decise quindi di affidare il compito ad un mortale. Scelse Paride, principe di Troia, perché, come avevano testimoniato eventi passati, il giovane era abile e giusto nel giudicare.
Le tre dee, per ingraziarsene il giudizio, promisero svariate ricompense: Atena gli promise che non avrebbe mai perso una guerra ed Era gli avrebbe invece conferito poteri immensi (secondo altre fonti invece gli offrì il dominio sull’Asia minore). Paride scelse però come vincitrice Afrodite, che gli aveva promesso l’amore di Elena, la donna più bella della terra. Sarà questa la causa scatenante della guerra di Troia, evento a cui saranno dedicati i poemi epici del ciclo troiano, tra cui l’Iliade.