Di Gino Colla
Recentemente, a Udine, alla libreria CLUF, è stato presentato il lavoro di Michele Spanghero. L’artista, residente in Friuli, cerca di rendere in immagini il suono. Quale suono? Non il suono che ci affolla la mente, pubblicità, telegiornali, urla, abbaiare dei cani, tifosi che fischiano la squadra, ecc., ma il suono del silenzio.
Per rendere questo, si prende un tempo breve per fotografare dei teatri vuoti (esempio Sabbioneta), e nel registrare il suono al loro interno, mentre non vi sono spettacoli o prove di artisti. L’attenzione al teatro nasce dal fatto che alcuni parenti erano attori, e il risultato è una fotografia con sottofondo uno strano suono, amplificato, e continuo. Altre installazioni (come la foto qui riportata), sono dei contenitori, che cercano di andare a delle anfore usate nell’antica Grecia per far amplificare le voci degli attori. Questi oggetti, di cui non è rimasta traccia, ma che possono essere rivisti come forme oblunghe, comunque intriganti alla vista, emettono anch’esse dei suoni continui, bassi e intermittenti.
L’artista è interessato a rendere il silenzio, e quindi il vuoto, tramite una resa amplificata del rumore di sottofondo degli ambienti pubblici, usualmente utilizzati per rappresentare storie, o poesie, o narrazioni con la voce.
Una riscoperta del silenzio, che fece già John Cage, con la composizione 4’33”, in tre movimenti, nel 1952, dove il pianista non suona, ma lascia agli spettatori la possibilità di ascoltare ciò che accade mentre il pianista è silenzioso: ronzio di un insetto, mormorio della gente, il respiro. Nella decostruzione di Derrida, al fine di dare un nuovo senso alla Metafisica, proprio questo si cerca: la faglia, il punto di rottura, la piccola crepa delle costruzioni filosofiche, per giungere alla relatività di ogni grande teoria. Non si può cercare la verità nella Metafisica, scriveva Jung.
Infine è interessante anche il richiamo all’opera di Doug Wheller, che realizzò nel 2017, al Guggenheim di New York, una stanza che, tramite coni fono assorbenti, riusciva ad abbassare la soglia del silenzio. In realtà, anche qui, come nei casi visti prima, l’obiettivo è evidenziare la luce quasi irreale della stanza (foto a fianco). Anche Spanghero richiama l’idea che il silenzio influisce sulla nostra percezione dello spazio, e fa vedere con dimensioni diverse l’ambiente ove siamo presenti. Quello che è interessante è che le persone, nella sala del museo Guggenheim, di fronte al silenzio, avevano visioni, piangevano, si inginocchiavano. Il silenzio è contiguo allo spazio del cosmo, alla creazione primigenia, alle divinità a cui ci rivolgiamo, nel silenzio della preghiera, appunto.
La ricerca sul silenzio è quindi attuale, specie in Occidente, dove il concetto non è presente come in Oriente (monaci zen, la meditazione di Buddha, ecc.), ma quello che è molto interessante, è che attraversa anche l’immagine pittorica. In questa chiave potrebbero essere letti anche molti quadri di Hopper e di tanti altri.
Un bravo quindi a Spanghero, vista anche la sua gioventù e la sua creatività.