Di Chiara Filipponi
Tra arte e mitologia
Riprendiamo con la rubrica dedicata alla mitologia e all’arte. Ogni mese un approfondimento su un personaggio della mitologia greca e sulla sua rappresentazione nella storia dell’arte. Questa puntata è dedicata alla dea della caccia e della verginità, Artemide, conosciuta nel mondo romano come Diana.
Buona lettura!
Artemide, figlia di Zeus e di Leto, era la sorella gemella di Apollo. Secondo gli antichi greci Artemide era la dea della caccia e della verginità, nonché personificazione della luna. Indipendente e fiera, per via del suo legame con il mondo naturale, essa era immaginata vivere nei boschi, circondata da sole ninfe, lontana dalle città.
La nascita di Artemide
Secondo quanto raccontato da Esiodo nella sua “Teogonia”, Zeus, invaghitosi di Leto, figlia di due Titani, tradì Era, assumendo l’apparenza di una quaglia. Era, una volta venuta a conoscenza delle azioni del marito, punì la donna facendola perseguitare dal mostro Pitone in modo che essa non potesse partorire su nessuna terra che fosse stata baciata dal sole. Così, per permettere a Leto di portare a termine la gravidanza, Zeus fece emergere dalle acque l’isola di Delo: una terra nuova, sulla quale il sole non aveva mai allungato i propri raggi. Nacque prima Artemide, seguita dal fratello Apollo, e fin dalla nascita si conquistarono l’inimicizia della madre degli dei, in quanto lei e suo fratello erano stati il frutto di un amore adulterino di Zeus.
Sin dalla prima infanzia Artemide si distinse quanto a temperamento e forza d’animo: a soli tre anni, chiese al padre di farle dono di un arco forgiato dai Ciclopi, di mettere a suo servizio ninfe Oceanine e ninfe figlie del fiume Amniso, nonché di dedicarle tutti i monti della Grecia. Zeus acconsentì, e a questi doni aggiunse tre città, le quali avrebbero venerato lei sola del panteon greco.
Mito di Artemide e Atteone
Artemide, tanto per i greci che per i romani, fu la protettrice della purezza femminile, simbolo di una verginità guerriera elevata a un livello di sacralità assoluta. Similmente al fratello Apollo, Artemide fu una figura ambivalente, capace sia di agire a favore dei mortali che di punirli severamente. In particolare, essa era solita infliggere terribili punizioni a quei mortali che avessero osato spiarla in momenti di intimità, violando ciò che essa riteneva intoccabile.
A questo proposito, uno dei miti più noti è quello di Atteone. Il mito racconta che la dea, intenta a fare un bagno in un fiume della valle del monte Citerone, fu ammirata di nascosto dal principe tebano Atteone, che si era recato su quei monti per una battuta di caccia. Colto in flagrante dalla dea, essa lo trasformò in un cervo. La fine di Atteone fu terribile: inseguito dai cani della dea, fu da questi sbranato e ucciso.
Eracle
Il mito di Artemide si interseca anche con la narrazione delle fatiche di Eracle, semidio figlio di Zeus e Acmena. Infatti, una delle imprese che l’eroe avrebbe dovuto portare a termine prevedeva la cattura della cerva di Cerinea, dotata di corna dorate, e sacra alla dea Artemide. Eracle non volle, tuttavia, ricorrere alla sua impressionante forza per catturare la preda e, di conseguenza, impiegò oltre un anno per concludere l’inseguimento della cerva. Giunto in Arcadia, e avendo ferito in modo superficiale l’animale con una freccia, il semidio si caricò la cerva in spalla per portarla ad Euristeo. La dea, scoperte le azioni di Eracle, gli rimproverò severamente di aver maltrattato l’animale a lei sacro.
Ifigenia
Il legame fra la dea e il cervo, animale a lei consacrato, riappare anche nel noto mito di Ifigenia, narrato da Euripide nell’ “Ifigenia in Aulide”. La vicenda, legata alle vicissitudini della guerra di Troia, vide coinvolti il re dell’Argolide, Agamennone, e sua figlia Ifigenia. Il re, avendo ucciso un cervo sacro alla dea, fu punito da essa con l’assenza totale di vento. Ciò, avvenuto alla vigilia della partenza della flotta greca per la guerra di Troia, ritardò l’inizio della traversata complicando di molto la posizione di Agamennone. L’indovino Calcante, resosi conto del torto subìto da Artemide, sentenziò che l’unica soluzione possibile sarebbe stata il sacrificio da parte di Agamennone della sua figlia prediletta. Il re, pur disperato, si piegò agli auspici del suo indovino; tuttavia, proprio quando era sul punto di uccidere la figlia, la dea stessa intervenne per salvare la fanciulla, portandola in salvo in Crimea dove la rese sua sacerdotessa presso il tempio della dea a Tauride.
Durante la guerra di Troia, Artemide si schierò insieme al fratello dalla parte dei Troiani, probabilmente per il fatto che entrambi gli dei erano venerati non solo a Troia, ma in tutta l’area dell’Anatolia occidentale.
I figli di Niobe
In questo mito, Artemide e Apollo intervennero fianco a fianco per punire una mortale, resasi colpevole del più terribile dei crimini secondo gli antichi greci: la hybris, ovvero l’arroganza che porta l’uomo a credersi superiore agli dei. La donna macchiatasi di questo crimine era Niobe, regina di Tebe, la quale, avendo messo al mondo quattordici figli, sette maschi e sette femmine, aveva dichiarato di considerarsi nettamente superiore a Leto. Per punirla Apollo e Artemide uccisero con le loro frecce i figli della donna, risparmiando solamente un maschio e una femmina. A seguito della strage, il marito della donna perì a sua volta. Per ciò che concerne il destino subìto da Niobe, il mito presenta diverse versioni, delle quali la più comune racconta che fu trasformata in pietra da Artemide.
Atalanta
Come si è anticipato, l’intervento della dea nelle vite dei mortali non ebbe sempre risvolti nefasti: è questo il caso del mito di Atalanta. La piccola Atalanta, figlia di Iaso, re dell’Arcadia, fu da quest’ultimo abbandonata sul monte Pelio. Per salvarla da morte certa la dea mandò in suo soccorso un’orsa che la allattò e la protesse. Sopraggiunti dei cacciatori, essi presero la bambina con sé e la portarono in salvo.
Aretusa
Come è emerso, Artemide era solita correre in aiuto di altre donne, specialmente se queste erano insidiate da uomini. È questo il caso del mito di Aretusa, una ninfa dei boschi che, per sfuggire al corteggiamento insistente di Alfeo, dio del fiume nelle cui acque era solita bagnarsi, si rivolse ad Artemide in cerca di soccorso. La dea intervenne nascondendola nella nebbia e poi trasformandola in una fonte d’acqua pura.
Artemide, vergine cacciatrice
La figura di Artemide, ancora al giorno d’oggi, risulta essere particolarmente interessante per le sue sfaccettature e ambivalenze. Infatti, la dea porta con sé le caratteristiche della natura selvaggia, combinandole con il mistero e la sacralità della luce lunare, per creare un’immagine carica di sottointesi e misticismo, un unicum rispetto alle altre figure femminili del panteon greco. Se, infatti, sia Artemide che Atena si trovano accumunate dalla verginità, la dea della caccia si distingue quanto a forza e indipendenza; è portatrice di un’energia vitale che la rende profondamente diversa, selvatica e al tempo stesso severa. Artemide è una dea volubile e fiera, protettrice instancabile degli animali, ma altrettanto rapida nell’infliggere punizioni agli umani che osino mancarle di rispetto. Come gli animali a lei sacri, è da un lato feroce come l’orsa, e, dall’altro, solitaria e schiva, come la cerva.
Essa incarna il femminile nella sua forma più libera e indipendente; non si sposò mai, non ebbe mai degli amanti, non diventò, quindi, mai succube di un uomo. Proprio la sua purezza contribuì a inimicarle le altre dee, rese gelose dalla sua inarrivabile integrità. È questo il caso del mito di Ippolito, giovane che si era dedicato completamente al culto di Artemide e che per questo fu punito da Atena.
Anche al giorno d’oggi, l’universo enigmatico e segreto, così strutturalmente femminile, di Artemide e il suo legame con la natura possono essere frutto di riflessione e ispirazione per le donne contemporanee.