Di Gianna Ganis
Meno snobismo, più comunicazione efficace
“Gli Uffizi dicono di aver registrato nell’ultimo weekend un +24% di visitatori, con un +27% tra gli under 25, grazie alla visita di Chiara Ferragni. Beh allora mi risulta che negli stessi giorni i Musei Vaticani e il Colosseo abbiano fatto meglio e senza aver invitato influencer: +41% e + 38%”.
Lo storico dell’arte Tomaso Montanari da sempre contrario a qualunque azione di valorizzazione e promozione dell’Arte e dei musei – no all’operazione restauro del Colosseo da parte di un privato, no all’uso di sale e spazi museali per sfilate ecc. – critica duramente la visita notturna di Chiara Ferragni di giovedì 16 luglio agli Uffizi di Firenze, per un servizio fotografico in collaborazione con la rivista Vogue Hong Kong (che ha pagato l’influencer e il museo). Contesta anche i numeri del “boom di visitatori” che si sarebbe verificato nel weekend subito successivo, a quanto ha detto il direttore del museo Eike Schmidt, grazie alla visita della Ferragni da 20 milioni di follower su Instagram.
Sempre Ferragni con suo marito Fedez hanno visitato qualche giorno fa i Musei Vaticani e la Cappella Sistina in visita serale, come tanti altri turisti che prenotano e pagano il biglietto. E giù anche lì critiche per la foto. Poco importa se per la prima volta nella storia dei Vaticani e degli Uffizi i rispettivi profili Twitter sono in top trend…
La tesi di Montanari “Nel caso, c’è più l’‘effetto Covid che l’effetto Ferragni”: settimana dopo settimana la gente torna a visitare di più tutti i musei perché ha meno paura. Attribuire una crescita alla visita della Ferragni del giorno precedente mi sembra un modo di lavorare poco serio che dovrebbe allarmare il ministero dei Beni Culturali.
Ma ci viene da chiedere: in queste critiche non c’è anche un po’ di snobismo e di elitaria chiusura verso il mondo degli influencer e di una nuova capacità di comunicazione?
Replica il critico “Gli influencer fanno giustamente il loro mestiere. E il marketing è uno dei pilastri della nostra società così com’è. Il problema è se vogliamo far diventare l’arte un genere di consumo o se deve mantenere fini diversi dalla vendita in sé, come formare pensiero critico, anche nei confronti della pubblicità, e parlare all’interiorità delle persone.”
Domanda legittima e fondamentale nell’attribuzione del ruolo dell’arte ma Montanari dimentica che per attirare le giovani generazioni in un museo e quindi fargli finalmente ammirare dal vero le opere senza intermediazione digitale, anche l’uso di testimonial a loro graditi può essere utile allo scopo. Altro esempio italiano che rientra in questo modello di promozione indiretta di luoghi della cultura: Mahmood ha realizzato un video al Museo Egizio, e ha ricevuto molte altre critiche. Ricordo invece che senza tanti scandali Il videoclip di Apeshit, cliccatissimo, ha visto cantare e ballare Beyoncé e Jay-Z che si sono fatti aprire le porte del LOUVRE, il celebre museo parigino, per una lezione d’arte accanto a capolavori noti come la Gioconda o la Venere di Milo e nella Francia che spende in Cultura 20 volte tanto rispetto all’Italia, nessuno si è scandalizzato.