Di Marina Isaia
I CASI GIUDIZIARI NEL MONDO DELL’ARTE
La Corte d’Appello dell’Aquila, chiamata a pronunciarsi in seguito al rinvio della Cassazione, con sentenza n. 1888/2019, ha chiarito che dare dell’”imbianchino” via social ad un pittore di professione, integra il reato di diffamazione con conseguente condanna in sede penale e risarcimento del danno in sede civile.
Per i giudici la volontà di offendere davanti ad una platea enorme di pubblico fa scattare la diffamazione perché un conto è fare una battuta, altro è offendere e denigrare una persona anche attraverso una espressione che vuole essere spiritosa. Ed un tanto anche se non si è esplicitato il nome e cognome della persona, basta che la stessa sia riconoscibile in altri modi.
Ricordiamo che il reato di diffamazione ex art. 595 cp prevede l’offesa dell’altrui reputazione e la comunicazione con più persone.
In tale ambito, la diffamazione a mezzo stampa o con un altro mezzo di pubblicità o in atto pubblico, costituisce una forma aggravata di diffamazione, punita più severamente dal nostro codice penale. Mentre infatti la diffamazione è genericamente punita con la reclusione fino a 1 anno o con multa fino a 1.032 euro, la diffamazione a mezzo stampa viene punita con la pena della reclusione da sei mesi a 3 anni, o con multa non inferiore a 516 euro.
Dove si legge «mezzo stampa» o «altro mezzo di pubblicità» si deve legge anche Facebook. Questo perché, chiarisce la normativa, il social network è uno strumento che consente di arrivare ad un numero indeterminato di persone. Facebook, insomma, diventa la «piazza» in cui un’espressione può offendere la reputazione di qualcuno in quanto tale espressione può essere letta da un numero imprecisato di utenti e, anzi, la sua diffusione si può moltiplicare alla velocità della luce grazie alle condivisioni.
Naturalmente il reato si perfeziona anche se la vittima non fa parte di quel gruppo o di quella chat o anche se non legge il post. A rigore si commette reato di diffamazione anche semplicemente cliccando «mi piace» sotto il post offensivo, senza condividerlo, o aggiungendo sorrisini, cuoricini e simili.
Pertanto, prestate attenzione a ciò che postate sui social …
La Corte nel quantificare il danno individua i parametri di riferimento: la notorietà di chi effettua la diffamazione; il ruolo o la carica pubblica ricoperta dalla vittima; l’eventuale reiterazione dell’offesa; la gravità dell’insulto in considerazione del contesto in cui viene espressa; l’entità della diffusione dei termini diffamatori; lo spazio degli stessi; la loro risonanza mediatica e infine l’intensità dell’elemento soggettivo con cui è stato commesso il fatto.
In questo caso il “burlone” è stato condannato in sede civile al risarcimento del danno pari ad €. 3.000,00.