Di Francesca Cerno
Guardare il mondo con occhi spalancati, raccomandava la filosofa fenomenologica Edith Stein. Una frase che echeggia a chi si approccia a Giuseppe De Nittis e alla mostra “La rivoluzione dello sguardo” allestita a Ferrara, presso Palazzo dei Diamanti, curata da Maria Luisa Pacelli, Barbara Guidi e Hélène Pinet, e visitabile fino al 13 aprile. Numerosissime le opere esposte, quasi 150, provenienti da musei e collezioni private, italiane ed europee.
Già dai primi dipinti, si apre il tema del momento percettivo, grazie al formidabile accostamento della pittura alla fotografia d’epoca, che vede dialogare l’Italien de Paris con Edward Steichen, Gustav Le Gray, Alvin Coburn e Alfred Stieglitz. E così, come ricorda Pessoa, è in noi che il paesaggio si fa paesaggio, in una minuziosa riscoperta di particolari, che ci portano immancabilmente a riconsiderare l’importanza del dettaglio, capace di raccontare una storia tanto collettiva quanto intima. Dalle silenziose strade assolate della Puglia alla joie de vivre parigina espressa con garbo, dai celeberrimi monumenti londinesi che comunicano la loro grandezza e la loro inaccessibilità attraverso il popolo che li osserva a distanza all’eleganza distaccata di Léontine Gruvelle, moglie e musa prediletta di De Nittis (a cui si deve il lascito dei dipinti più personali dell’artista a Barletta, sua città natia), nei cui ritratti si percepisce uno stile di vita, un sentire personale. E ancora ‘tutte le sfumature del bianco’ dei quadri il cui soggetto è la neve, l’inconfondibile uso del pastello in un dialogo continuo con Edgar Degas, con cui l’artista condivideva impressioni ‘impressioniste’ e piacevoli pomeriggi al Café de la Nouvelle Athènes, i dipinti ‘letterari’ dei salotti che De Nittis frequentava, sbirciando con sguardo acuto: il suo tocco arguto e mai sfrontato sa raccontare di flirt con discrezione, di belle époque con delicatezza. Quella stessa del suo animo, spesso deluso da chi considerava amico, come le biografie attestano.
E forse il punto d’incontro con la fotografia è quello che si ritrova nelle riflessioni di Anna D’Elia nel suo saggio ‘Fotografia come terapia’: Rivalutare ciò che è piccolo, impercettibile, che appare alla sfera soggettiva (…) Ricominciare da ciò che pensiamo di vedere ogni giorno, ma non guardiamo più (…) Guardare stando in mezzo alle cose, partecipi e non spettatori: guardare come da una soglia, il dentro e il fuori, il prima e il dopo.